Storia di ordinaria passione. Quando non puoi fare a meno della ricerca.
Ho trascorso infanzia e adolescenza tra libri e camici bianchi. La medicina era ospite permanente nella nostra casa romana, affollata di figli, allievi, studenti, discussioni e confronti. Ovviamente, la convivenza con un papà cattedratico e famoso non era affatto semplice. L'incombenza domestica di un luminare ha però contribuito, in maniera determinante, a costituire il mio sistema di valori, incitandomi, allo stesso tempo, ad imitarlo e a distinguermi da lui. Sempre seguendo la sua alta lezione morale.
Così, unica di cinque sorelle, decisi che la medicina e la ricerca sarebbero state il mio campo d'azione. Per moto contrario e con un pizzico di ambizione mi gettai a capofitto negli studi, conseguendo risultati che ai più sarebbero apparsi molto positivi, mentre in casa venivano giudicati appena sufficienti. Un classico. Dunque, la laurea a pieni voti, la specializzazione, e un lungo periodo lavorativo a Parigi, in adorabile anonimato, presso il laboratorio di "Biochimie Genetique" dell'Hopital Cochin. Poco più di tre anni passati a lavorare per un progetto di ricerca finalizzato a creare topi transgenici che esprimevano la proteina X del virus B dell'epatite, giungendo, nel 1992 a svolgere attività d’insegnamento presso l'Università di Parigi V. Difficile raccontare in poche parole quell’indimenticabile esperienza. Diciamo che l'ho vissuta come una sorta di prova del fuoco, l'iniziazione ad un mondo ancora prevalentemente maschile e fortemente intriso di spirito competitivo. Credo di essermela cavata bene, affinando il carattere e, soprattutto, il metodo di lavoro.